* Questo testo riassume e riprende molte considerazioni inserite negli articoli: Aru S., Memoli M., Puttilli M. (2015), “Metodi visuali e ricerca geografica. Il caso di Sant'Elia a Cagliari”, Semestrale di Studi e Ricerche di Geografia, II, pp. 161-166; Aru S., Memoli M., Puttilli M. (2016), “Fotografando Sant'Elia. Sperimentazioni visuali della marginalità urbana”, Rivista Geografica Italiana, 4, 2016, pp. 383- 400.
Il nostro lavoro su Sant'Elia inizia nel 2013 nell'ambito del più ampio progetto di ricerca "Giustizia spaziale e sistemi territoriali mediterranei. Politiche urbane, pratiche sociali, mobilità" (L.7 della Regione Sardegna, coordinato da Maurizio Memoli). Uno dei principali obiettivi della ricerca era quello di investigare le rappresentazioni e le narrazioni degli abitanti di quartieri cosiddetti “marginali” delle città mediterranee e, contemporaneamente, promuovere un processo di azione/reazione tra ricercatori e abitanti finalizzato alla produzione di nuove forme di narrazione dello spazio, con particolare riguardo all'utilizzo di strumenti visuali e multimediali durante il lavoro sul campo. La marginalità – vista attraverso le parole e le azioni degli abitanti di Sant'Elia, in particolare le donne dell'Associazione Sant'Elia Viva– è apparsa come una condizione aperta, non sempre presente, di cui i residenti si appropriano e rielaborano in modo differente e molteplice (Cullen, Pretes, 2000) e che si discosta fortemente dall’immagine statica e monolitica attribuita al quartiere dall’esterno. I molti significati che l’esperienza del margine assume nelle pratiche e nelle rappresentazioni degli abitanti ha portato a mettere in dubbio, alla fine del percorso, il concetto stesso di margine: Sant'Elia è un margine? Lo è sempre? Rispetto a quali ambiti? Sant'Elia è e può essere altro? Quanto altro?
La scelta di far emergere l’esperienza soggettiva e quotidiana dell’abitare un "quartiere marginale" ha coinciso con l'utilizzo di strumenti di indagine differenti durante specifiche fasi dell'indagine. Ai più tradizionali questionari semi-strutturati rivolti agli abitanti (marzo-giugno 2014), abbiamo affiancato metodologie sperimentali di tipo visuale, durante un laboratorio fotografico (luglio-ottobre 2014) e un laboratorio di “narrazione urbana” (aprile-luglio 2015). Questa contaminazione tra differenti metodologie di indagine si inserisce in una concezione della geografia che – cogliendo gli spunti offerti dalla non-representational theory (Thrift, 2008) – non ha pretese di rappresentatività, codificando e imprigionando la realtà in definizioni chiuse e stabili (dello spazio, dei luoghi e delle pratiche), ma si apre a una molteplicità di punti di vista, prospettive e strategie conoscitive, incentrate sul richiamo alla componente emozionale e affettiva che lega le persone ai luoghi. L'uso delle metodologie visuali ha permesso di aumentare le possibilità offerte dalla ricerca empirica di tipo convenzionale, producendo informazioni di tipo differente rispetto ai più tradizionali metodi di indagine (Harper, 2002). Attraverso le immagini fotografiche le persone coinvolte nella ricerca hanno catturato e rappresentato in maniera più immediata la loro realtà di vita quotidiana, spesso difficilmente veicolabile a parole (Becker, 2002; Wang, 2006). Gli strumenti visuali e multimediali hanno inoltre consentito un maggiore coinvolgimento della sfera emotiva dei partecipanti e, per questa via, a noi ricercatori un diverso accesso alla relazione con i soggetti e il quartiere studiati (Miles, Kaplan, 2005).
Nei mesi di marzo e giugno 2014, si è proceduto alla somministrazione tra le vie del quartiere di questionari semi-strutturati. L'obiettivo, in questa fase iniziale del lavoro, era duplice. In primo luogo, il questionario e la sua somministrazione doveva giustificare agli occhi degli abitanti una nostra presenza capillare e più o meno costante nel quartiere e, insieme a essa, la creazione di contatti utili per le fasi successive di tipo laboratoriale. Il secondo obiettivo era quello di comprendere, attraverso le domande del questionario, alcuni aspetti della vita degli abitanti nel quartiere. I questionari compilati hanno fatto emergere sia informazioni quantitative sia concetti più evocativi in grado di tratteggiare un insieme di “impressioni” ed evocare la relazione emozionale degli abitanti con il proprio quartiere: la pratica dei diversi luoghi e spazi del quartiere, la percezione e la rappresentazione del proprio spazio di vita, dagli aspetti positivi a quelli maggiormente negativi, come emerge alla voce “inchiesta”. Il campione, composto di 127 intervistati, non è rappresentativo in termini socio-statistici del quartiere ma, ai fini della ricerca, è stato significativo per definire la base indiziaria di auto-rappresentazioni, utilizzata poi nelle fasi successive della ricerca.
Durante la seconda fase di ricerca abbiamo svolto nel quartiere un laboratorio fotografico in collaborazione con l’agenzia Prospekt Photographers e la fotografa freelance Gisella Congia. Sulla base delle suggestioni emerse dai questionari, è stato organizzato un laboratorio di fotografia, a cui hanno preso parte sei donne, la maggior parte delle quali facenti parte dell’associazione femminile di quartiere Sant’Elia Viva. Alle partecipanti è stato chiesto di scattare, condividere e discutere in gruppo le immagini di Sant’Elia in grado di esprimere la propria percezione del quartiere, mettendo in gioco la conoscenza del luogo e le singole sensibilità e personalità, i desideri così come i loro timori. In altri termini, si è chiesto loro di provare a cogliere, attraverso i propri scatti, l'essenza del quartiere, la parte che amano di più e quella che piace loro di meno. I risultati del Laboratorio sono visibili alla pagina “mostra”. Dato l'obiettivo del progetto di aprire il quartiere verso il resto della città, come primo output della ricerca abbiamo esposto le immagini scelte nell’ambito di due eventi organizzati dal Comune di Cagliari: una mostra ospitata presso il Lazzaretto durante il Festival d’Arte e Comunità “Approdi” (ottobre 2014) e un’installazione di arte pubblica in occasione della manifestazione Monumenti Aperti (maggio 2015), durante la quale le fotografie sono state incollate nel marciapiede a formare un vero e proprio percorso pedonale che si è snodato lungo le vie e le case del Borgo vecchio.
A conclusione del laboratorio fotografico le stesse donne dell'Associazione Sant'Elia Viva hanno chiesto di continuare il percorso di collaborazione ed è così che si è deciso di avviare una terza fase del progetto, sempre più sperimentale e audio-visuale: il laboratorio partecipato di “narrazione urbana”, condotto da Claudio Jampaglia, Bruno Chiaravalloti e Silvia Aru, e coordinato da Maurizio Memoli. Il laboratorio, a cui hanno preso parte sette donne (tre delle quali avevano già partecipato al laboratorio di fotografia) si è svolto tra aprile e giugno 2015, in dieci incontri pomeridiani di quattro ore ciascuno. Alla fase laboratoriale, con la registrazione integrale degli interventi, dei racconti, delle conversazioni di gruppo, ha fatto seguito una fase di discussione e progettazione a cui è seguita una campagna di riprese video del quartiere (giugno-agosto) e poi una lunga fase di montaggio e realizzazione del web-documentario vero e proprio che ha visto coinvolte fattivamente sei delle sette partecipanti. Durante gli incontri ogni partecipante raccontava una propria storia in relazione ad un tema individuato in precedenza. I temi scelti sono stati volutamente ampi, in modo da fornire una traccia, ma non una gabbia al racconto. Il primo spunto di riflessione dato è stato "Io e gli altri". I seguenti – decisi di volta volta dai coordinatori in base alle suggestioni emerse e discussi col gruppo – sono stati: "Le storie degli altri"; "Sono andata e ho visto… (l'altrove)"; "I cambiamenti del quartiere"; "Un tema e una storia a scelta". Per procedere ad una stesura il più possibile collettiva, ogni settimana una partecipante al laboratorio aveva il compito di raggruppare e riformulare le storie raccolte ed ascoltate la settimana precedente. A partire dalle suggestioni della narratrice di volta in volta scelta si discutevano insieme gli elementi emersi, quelli da sottolineare a giudizio delle singole donne. Ed è così che si sono individuati in maniera collettiva i diversi percorsi qui presentati attraverso i cinque video che compongono il vero e proprio web-documentario. Oltre a offrire una rappresentazione tra le molte possibili dello spazio praticato del quartiere, i video evocano, grazie al loro carattere “sospeso”, il senso di ibridazione praticato durante l'indagine empirica e la compresenza dello sguardo di ricercatori e abitanti, outsider e insider nel quartiere.
L’associazione femminile Sant’Elia Viva è nata nel 2012 con l’intento di rivitalizzare il quartiere con iniziative sociali e culturali organizzate dal basso. Particolarmente attiva sul tema del diritto alla casa, Sant’Elia Viva organizza azioni collettive alternando forme di protesta più o meno dure (come manifestazioni e picchetti, fino ad arrivare al blocco dell’esecuzione degli sfratti), alla richiesta di aprire tavoli istituzionali di confronto sui principali problemi del quartiere (come il lavoro e la casa) con le autorità pubbliche (Comune e AREA). Oltre a voler rivitalizzare il quartiere, l’associazione punta a creare maggiori spazi di azione femminile e, per questa via, ad accrescere la visibilità delle donne del e nel quartiere. In una socialità che viene descritta (ed è) fortemente maschilista, in cui le donne sono spesso relegate in ambito domestico e totalmente dipendenti su un piano economico (soprattutto le più giovani, alle volte già madri), la nascita e la crescente visibilità, all’interno e all’esterno del quartiere, di Sant’Elia Viva rappresenta per le promotrici un successo femminile. La formazione di un gruppo di partecipanti composto esclusivamente da donne, fortemente coeso e attivo, è stata oggetto di riflessione metodologica terminata con la decisione di non integrare volutamente il campione con altri elementi esterni e con uomini. Prima di tutto perché la fase laboratoriale partecipata non aveva esigenze di rappresentatività statistica della composizione del quartiere (in termini di genere, di fasce d’età, di estrazione sociale ecc). Inoltre perché, il percorso “auto-rappresentativo” non può che scaturire da una partecipazione frutto di una scelta spontanea e attiva, determinata da processi relazionali messi in campo dai ricercatori nella fase di primo contatto.
Da sinistra: Pinella, Cenza, Rita, Rosy, Rosa e Debora.
Com’è inevitabile, durante il lavoro sul campo i ricercatori e gli abitanti finiscono per costituire un nucleo di relazione diretta emozionale e ricca che non inficia né amplifica il valore scientifico della ricerca, ma ne definisce la qualità e i limiti. La condivisione del tempo trascorso insieme è stata dunque essenziale non solo per definire i termini del nostro “ingresso” e della nostra permanenza a Sant'Elia, ma anche per definire i modi e i tempi dello svolgimento della ricerca. Mano a mano che ci inserivamo nella vita del quartiere, da un lato cambiava la nostra posizionalità, dall’altro cambiava la capacità, condivisa con le partecipanti al progetto, di elaborare nuovi strumenti di indagine maggiormente rispondenti alle aspettative, alle esigenze, ai problemi delle donne partecipanti. La prima fase del progetto, fondata su una maggiore astrattezza e un maggiore distacco indotti dallo strumento del questionario, aveva infatti sollevato le normali e consuete problematiche legate a una ricerca sociale di tipo più quantitativo (selezione e quantificazione del campione, somministrazione delle domande, analisi dei risultati) ed era stata percepita con un certo scetticismo da alcuni residenti che si sono sentiti “cavie” da analizzare. Diverso il clima di fiducia e confidenza che si è instaurato nelle fasi successive, reso possibile anche dalla scelta di puntare, nella seconda e terza fase della ricerca, a percorsi di tipo laboratoriale. In questo quadro, il contatto con l’associazione Sant'Elia Viva ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta, perché le partecipanti hanno mostrato un interesse attivo al progetto a cui l’associazione ha formalmente aderito. Lo stesso coinvolgimento dell’agenzia Prospekt non è avvenuto nella logica di una rigida divisione dei compiti e delle competenze tra ricercatori e professionisti dell’immagine. Al contrario, il tentativo è stato quello di favorire la compartecipazione delle diverse competenze coinvolte nelle varie fasi della ricerca attraverso la costruzione di un gruppo ibrido ed eterogeneo, dove le singole conoscenze, capacità e interessi sono in grado di mescolarsi e contaminarsi vicendevolmente.
Non siamo cavie...
Maurizio Memoli e Silvia Aru
Grazie al confronto e all’interazione tra i diversi soggetti coinvolti si è realizzato un progetto volutamente aperto, condiviso e sempre in divenire, che ha permesso di accedere ad “un'altra" Sant'Elia, non necessariamente in contrasto con la rappresentazione canonica del quartiere, ma più stratificata, composta delle idee, emozioni, percezioni, esperienze e speranze. Una Sant'Elia talmente ricca da poter essere raccontata in tanti modi, dai suoi abitanti, ma anche da noi. L'abbiamo fatto attraverso le parole scritte durante questi anni di ricerca, in passato attraverso le mostre delle foto scattate nel Laboratorio, lo facciamo ora attraverso i testi e i video di questo web-documentario. E Sant'Elia è tutte queste cose insieme e molto altro ancora.
Aru S., Memoli M., Puttilli M. (2015), “Metodi visuali e ricerca geografica. Il caso di Sant'Elia a Cagliari”, Semestrale di
Studi e Ricerche di Geografia, II, pp. 161-166.
Aru S., Memoli M., Puttilli M. (2016), “Fotografando Sant'Elia. Sperimentazioni visuali della marginalità urbana”,
Rivista Geografica Italiana, 4, 2016, pp. 383- 400.
Aru S., Memoli M., Puttilli M. (2015), Fotografando Sant’Elia. Sperimentazioni visuali della marginalità urbana, Verona,
Ombre Corte, in corso di pubblicazione.
Aru S., Puttilli M. (2016), “The right to the city and the right to housing in Sant'Elia, Cagliari”, B. Schönig, S. Schipper
(eds.), Urban Austerity: Impacts of the Global Financial Crisis on Cities in Europe, Berlin, Theater der Zeit, pp. 271-285.
Becker H. S. (2002), “Visual Evidence: A Seventh Man, the specified generalization, and the work of the reader”,
Visual studies, 17, 2002, pp. 3-11.
Cullen B. T., Pretes M., “The Meaning of Marginality: Interpretations and Perceptions in Social Science”, The Social
Science Journal, 2, pp. 215–229.
Harper D. (2002), “Talking about pictures: a case for photo elicitation”, in Visual Studies, 17, pp. 13- 26.
Miles S., Kaplan I.(2005), “Using images to promote reflection: an action research study in Zambia and Tanzania”, in
Journal of Research in Special Educational Needs, 5, pp. 77–83.
Thrift N. (2008), Non Representational Theory, London, Routledge.
Wang C. (2006), "Youth participation in photovoice as a strategy for community change", in Journal of Community
Practice, 14, pp. 147-161.